Crisi dei circoli, ARCI: «Riconoscere il ruolo del settore ricreativo»

Crisi dei circoli, ARCI: «Riconoscere il ruolo del settore ricreativo»

Pubblichiamo l’intervista apparsa su Gaynews.it lo scorso 4 novembre alla presidente di ARCI Francesca Chiavacci, in cui viene menzionata anche la rete dei circoli ARCO.

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Le misure restrittive per il contenimento della pandemia, come è noto, stanno colpendo duramente i settori della cultura e dell’associazionismo, che fanno della socialità una delle proprie attività essenziali. Tra le realtà più esposte alla crisi vi sono i circoli ricreativi, attività basate sull’aggregazione e l’incontro, che non generano fatturato ma offrono attività sociali e servizi all’insegna della solidarietà e del mutualismo. Le rete dei circoli Lgbti Arco ha già denunciato il rischio di chiusura generalizzata, mentre la federazione Arci (Associazione Ricreativa Culturale Italiana) con i suoi 4500 circoli, è scesa in piazza lo scorso sabato in oltre 2000 presidi all’insegna dello slogan “Curiamo la socialità”, per chiedere modifiche sostanziali nell’ambito dell’iter di conversione del decreto cosiddetto “Ristori”.

Ne abbiamo parlato con Francesca Chiavacci, fiorentina, ex parlamentare e attualmente presidente della federazione Arci.

Presidente, la situazione dei circoli ricreativi dopo l’ultimo Dpcm appare sempre più senza via d’uscita. Arci lo ha espresso sabato scorso in una manifestazione nazionale. La rete dei circoli Lgbti Arco, come dichiarato pochi giorni fa, rischia il collasso nelle prossime settimane. Quanti sono i circoli Arci a rischio? Cosa comporterebbe per i territori perdere queste realtà?  

Innanzitutto è necessario un chiarimento: Arci è stata tra le prime realtà a riconoscere la gravità della pandemia, al punto che pochi giorni prima del lockdown di marzo abbiamo scelto di chiudere per senso di responsabilità già alcuni giorni prima del decreto. La questione è che le nuove chiusure stanno discriminando intere categorie non in base all’attività svolta ma alla forma della soggetto che la svolge. Se si usa il criterio del tasso di permanenza in un determinato luogo, ad esempio un bar, le limitazioni dei luoghi in cui si crea socialità andrebbero uniformate, a prescindere dal carattere commerciale o sociale.

Ad esempio, dopo l’ultimo decreto di domenica 25 ottobre, abbiamo chiesto al ministero dell’Interno un chiarimento sulla possibilità di poter tenere aperte le attività di somministrazione di alimenti e bevande alla stregua degli orari di bar e ristoranti. Ci è stato detto di, no perchè si tratterebbe di attività “collaterali” rispetto a quella principale. In realtà, anche sul piano legislativo, i bar dei circoli Arci rientrano tra le attività istituzionali riservate ai soci delle associazioni e sono indispensabili sia in termini di auto-sostentamento sia per garantire le nostre stesse attività di aggregazione e socialità.

Dopo la riapertura di maggio, un terzo dei nostri circoli ha sospeso le attività. In questo momento, le nuove misure mettono a rischio la quasi totalità della rete. Il problema dei circoli Lgbti dai voi menzionato è molto simile a quello dei nostri circoli. Penso a decine e decine di piccoli comuni in cui il circolo del paese è l’unico luogo di ritrovo. Da questo punto di vista, abbiamo ricevuto il sostegno di alcune Regioni, come Emilia Romagna e Toscana, dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e di molti sindaci che hanno addirittura chiesto al circolo del proprio paese di rimanere aperto. La chiusura di queste realtà significa perdita di lavoro, perdita di punti di ritrovo per le comunità, in particolare per gli anziani, perdita di strumenti per combattere l’isolamento e il costante rarefarsi del tessuto sociale, perdita di luoghi in cui si sostengono le persone più deboli, spesso supplendo alle carenze della macchina statale.

Il decreto cosiddetto ristori prevede contributi solo per quelle attività con partita Iva, tagliando fuori le attività di promozione sociale. C’è un pregiudizio alla base di questa scelta? Cosa si potrebbe fare a riguardo?

Sembra ancora poco chiaro alla politica che il no-profit, in generale, si colloca in ogni caso nella dimensione economica del Paese. Si tratta di attività che per definizione non accumulano utili e che scelgono di orientare la propria azione al servizio della comunità. A prescindere da ciò, i circoli sostengono comunque dei costi: personale dipendente, affitti, forniture, manutenzione delle strutture.

Dietro queste realtà ci sono posti di lavoro, spesso famiglie. Tra marzo e aprile scorsi, i circoli si sono trasformati in presidi di solidarietà e organizzazione logistica: sono diventati magazzini di stoccaggio di beni di prima necessità, si sono adeguati alle normative, hanno sostenuto costi aggiuntivi, hanno contribuito all’assistenza di persone in difficoltà, migranti e altre compagini emarginate distribuendo pacchi spesa e offrendo altre forme di sostegno lì dove le amministrazioni pubbliche non riuscivano ad arrivavano.

La nostra proposta è quella di creare un fondo, come avvenuto per le realtà sportive, che includa tutte le realtà sociali  che hanno cessato o ridotto la propria attività istituzionale a seguito delle restrizioni. Il fondo dovrà includere le Associazioni di Promozione Sociale (Aps) ed essere esteso a tutte le sigle associative precedenti alla riforma del terzo settore (D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117), ancora in fase di implementazione.

Un altro contributo fondamentale potrebbe essere il sostegno ai proprietari delle mura dei nostri circoli con il blocco dell’Imu, in modo da consentire una sospensione dei canoni di affitto.

Altra questione riguarda infine i chiarimenti del decreto. Le associazioni che si occupano di teatro e danza sono in attesa di un chiarimento sulla possibilità di poter effettuare le prove, con tutte le relative misure di sicurezza. Il nostro auspicio è che si prenda spunto dal chiarimento ricevuto la scorsa settimana dal ministero dello sport per le attività sportive di contatto dilettantistiche e amatoriali : è possibile allenarsi solo garantendo il distanziamento degli atleti, in forma cosiddetta “individuale”.

Il forum del terzo settore è riuscito secondo lei a fare sentire la propria voce? Sarebbe auspicabile un tavolo straordinario tra le APS di primo livello per coordinare un appello comune? 

Abbiamo da tempo avviato contatti con le realtà del terzo settore e gli altri Enti cosidetti di primo livello. Il  forum del terzo settore ha lanciato lo scorso 29 ottobre una richiesta di sostegno specifica al Governo per tutti quei soggetti che aiutano chi è in una condizione di fragilità e rafforzano i legami sociali già impoveriti prima della pandemia. Dopo la manifestazione dello scorso sabato l’interlocuzione con la politica si è velocizzata. Siamo ora in attesa dell’imminente discussione in Senato sulla conversione del “decreto Ristori”. La nostra richiesta, oltre a quando detto prima, include anche la revisione dei codici Ateco, ovvero quei codici che identificano sia imprese che realtà associative, in modo che siano incluse anche quelle realtà che si occupano di cultura, formazione professionale, spettacolo.

Quali sono le azioni che intendete portare avanti nelle prossime settimane?

Continueremo a fare pressione per far sì che qualsiasi ulteriore provvedimento abbia un criterio di omogeneità e sia basato sulle effettive attività che vengono interrotte, a prescindere dai soggetti che le svolgono. Inoltre lavoreremo per un ulteriore sostegno delle realtà impegnate socialmente, partendo da un punto per noi imprescindibile – mi lasci dire – che è quello della valorizzazione del dialogo sociale con i corpi intermedi,  che in questo momento possiedono competenze e know how fondamentali per far fronte al disagio sociale che stiamo vedendo aumentare ogni giorno. Da questo punto di vista, a seguito di una stretta attività di collaborazione con Arci e le altre realtà sociali, le regioni Piemonte, Emilia Romagna e Toscana, hanno attivato dei fondi propri a sostegno del terzo settore.

Cosa risponde al Governatore Toti, che in un recente e infelice tweet ha parlato delle persone anziane come soggetti non più necessari allo sforzo produttivo? 

Guardi, io vorrei augurarmi che si sia trattato di un brutto errore comunicativo. Tuttavia la visione del mondo che traspare da quel messaggio è chiara: chi produce conta di più. Il punto è che la nostra qualità della vita e persino la nostra stessa produttività hanno necessariamente bisogno di solidarietà e socialità. Le persone, tocca ribadirlo, sono tutte indispensabili e i circoli ricreativi, che coinvolgono persone di ogni età e sono anche un presidio di dialogo intergenerazionale, ne sono la dimostrazione.

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