Nell’anniversario delle Quattro giornate di Napoli – episodio di vera e propria insurrezione popolare che, consumatasi tra il 27 e il 30 settembre 1943, condusse il popolo napoletano a liberarsi autonomamente, prima dell’arrivo degli Alleati, dall’occupazione nazifascista – il nostro pensiero non può non andare al protagonismo dei femminielli più volte raccontato da Antonio Amoretti, presidente provinciale dell’Anpi.
Se è vero che Napoli fu la prima tra le grandi città europee a insorgere contro il giogo nazifascista, il merito fu anche dei femminielli che vivevano nel ventre popolare della città e che sono state persone eroiche troppe volte dimenticate dalla storia ufficiale.
D’altronde, i femminielli hanno avuto un ruolo centrale nella magmatica composizione della comunità Lgbti napoletana e hanno attratto l’attenzione di studiosi, scrittori e antropologi.
Con il termine femminiello, è opportuno ricordarlo, si suole indicare uomini che vivono e sentono da donna. Sarebbe riduttivo definirli travestiti e, anche se possono essere ricondotti nell’alveo del transgenderismo, i femminielli napoletani, di cui oggi restano poche eredi, sono visibilmente distanti dal profilo contemporaneo globalizzato e metropolizzato delle persone transgender.